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BELLEZZA DA OCCIDENTE A ORIENTE…

I canoni tipici dell’idea di bellezza nipponici sono molto diversi dai nostri. Sicuramente l’ideale estetico dà più importanza alla spontaneità, al ruolo del tempo e della natura, mentre noi vorremmo sempre fermare il tempo, forzare la natura, senza accettare che la vita fa il suo corso, mai nella direzione che vorremmo. Una lezione che dovremmo imparare…

Il concetto di bellezza occidentale è molto diverso da quello giapponese. Le radici della nostra cultura del bello affondano nell’antica Grecia, dove questa proprietà era associata alla verità, come nel caso di Aristotele e Platone per cui il bello corrispondeva al “vero”. Per quanto riguarda l’avvenenza umana, questa non era disgiunta dalla bontà. L’ideale dell’uomo nel mondo classico doveva coincidere con la kalocagathia, una crasi delle parole καλὸς καὶ ἀγαθός, bello e buono.

Per non parlare della proporzione aurea, che corrispondeva alla lettera greca Phi (Φ), che era anche chiamata “divina proporzione” ed è riscontrabile in natura in molti casi.

Al giorno d’oggi, il concetto di bellezza si è spesso svuotato di questi significati più profondi, gli ideali estetici, in una sorta di delirio di massa, sempre più devono corrispondere a soggetti di età giovane, da qui l’inseguimento attraverso la chirurgia estetica, di modelli innaturali e impossibili. Non volendo solo soffermarsi sul concetto di bellezza umana, ma prendendo in considerazione un più ampio spettro, per gli occidentali i canoni della perfezione hanno a che vedere con la simmetria e la cristallizzazione nel tempo, l’armonia e l’ordine.

La bellezza in Occidente ha un alone solare e radioso, è costruita e organica, conseguenza dell’ordine sociale e della tecnica.

In Giappone, invece, la bellezza è iniziatica, la si merita, è il premio di una lunga e talvolta penosa ricerca, è finale intuizione, possesso geloso. Il bello ch’è bello subito ha già in sé una vena di volgarità. Le radici storiche di questo concetto, piuttosto che al vero e all’intelletto, ci portano all’intuizione-illuminazione (satori), al gusto (shumi) e al cuore (kokoro). In un certo senso può dirsi una versione romantica della bellezza; da un altro punto di vista può dirsi che il bello, essendo per lo più recondito, è necessariamente aristocratico.”

Secondo Donald Keene, noto imatologo statunitense, il concetto di estetica giapponese si può definire con tre parole chiave: semplicità, asimmetria, caducità.

L’eleganza della semplicità: la bellezza che si trova nella trama e nella venatura del legno e della pietra, nelle strutture architettoniche visibili, nel preciso tratto di inchiostro del pennello, nel perfetto colpo di judo, nella giustezza della posizione di un singolo fiore. La bellezza è sia l’espressione, sia il risultato di una consapevolezza che proviene da uno sguardo sulla natura altamente auto-cosciente, accompagnata inoltre dalla disciplina, che è una delle ragioni per cui in Giappone le arti raramente mancano di profondità.”

Esistono molti termini per definire i vari tipi di bellezza, alcuni dal significato quasi inafferrabile.

Ate – termine risalente al periodo Heian che significa grazia, raffinatezza.

En – bellezza ricca, appariscente, esuberante.

Karumi – è la bellezza della semplicità, espressione di una verità profonda.

Kurai – bello in modo riservato, freddo.

Okashi – anticamente significava attraente, affascinante, nella lingua moderna il significato si è tramutato in arguto, divertente, quasi buffo.

Reiyo – bellezza graziosa, gradevole.

Yasashi – piacevolmente timido, quindi è un termine associato alla bellezza morbida, femminile.

Yu – raffinato, elegante.

Furyu – di classe, elegante.

Per saperne di più:
https://midcoastseniorcollege.org/wp-content/uploads/2018/11/Japanese-Aesthetics.pdf

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