skip to Main Content
Restauro Kintsugi Milano
kintsugi urushitsugi gintsugi

KINTSUGI, URUSHITSUGI, GINTSUGI, YOBITSUGI…

Kintsugi, urushitsugi, gintsugi, yobitsugi..

Le varianti estetiche che gravitano attorno al restauro della ceramica secondo la tradizione giapponese sono moltissime. I metodi con cui si può interpretare un restauro cambiano molto a seconda del senso estetico di chi lo compie ma anche, anzi soprattutto, del desiderio del committente. Sebbene il kintsugi sia molto in voga in questo momento, gli oggetti si possono rifinire anche con polvere di argento (gintsugi), oppure si possono lasciare semplicemente laccati con l’urushi, che peraltro esiste in molti colori (urushitsugi).
Il concetto di tomotsugi è limitato al lavoro di restauro in cui le rotture esistenti possono essere riparate inserendo frammenti originali. Lo yobitsugi, invece, prevede l’inserimento di ceramiche diverse. Questo approccio si utilizza in caso di danni più estesi, oppure anche per estro estetico dell’artista. Un altro metodo molto originale per interpretare il restauro è chiamato mokuhen ed è fatto inserendo tasselli di legno nelle parti mancanti.

kintsugi gintsugi urushitsugi

Materiali antichi e reversibil

Il restauro kintsugi originale prevede l’uso di materiali antichi e reversibili, proprio come avveniva dal XVI sec. quando si incontrano le prime testimonianze scritte su questa tecnica. L’incollaggio avviene con nori urushi, la cui base è amido di riso, oppure con mugi urushi, farina di grano impastata alla lacca. La colla mugi ha un potere più collante della nori, grazie alla maglia glutinica che si forma mischiandola a lungo (la stessa che si crea quando si impasta il pane per intenderci), però ha tempi di asciugatura più lunghi. Asciugatura che si compie, dopo ogni passaggio, nel Mu-Ro (o furo), letteralmente “in assenza di aria”. Nei nostri laboratori abbiamo armadiature rivestite di legno, ma vanno benissimo anche scatole di legno, dove temperatura e umidità devono essere costantemente sotto controllo con minimo 20 gradi e dal 70% di umidità relativa in su. L’urushi è una lacca magica, perché una volta che ha polimerizzato vetrifica con caratteristiche superficiali molto simili al vetro e alla ceramica. La maggior parte dei ceramisti con cui mi confronto non si capacitano del fatto che, una volta messa la polvere d’oro, l’oggetto non sia cotto con il “terzo fuoco”, procedimento che usano loro per fissare i metalli sulla ceramica smaltata.

La stuccatura

La stuccatura avviene con polveri di jinoko e tonoko. La prima è una farina fossile calcinata e può essere usata per una prima stuccatura più resistente. La tonoko, invece, è polvere di argilla composta principalmente da silicati di alluminio. Ci sono molte ricette per preparare lo stucco (sabi), in genere si mischiano lungamente due parti di tonoko a una di acqua e poi si aggiunge al composto una parte di ki-urushi. Questo tipo di lacca è definita “raw”, cioè cruda ed è utile in tutti i primi passaggi del kintsugi. Se, però, ci sono alcune mancanze più grosse nell’oggetto, allora si procede a costruire un tassello di legno che è poi stuccato. Per le mancanze di meno di un centimetro, le classiche “sbeccature”, si prepara invece il kokuso: un impasto di farina, ki-urushi e segatura di legno finemente tritata. Altrettanto antichi sono i materiali con cui si lisciano stucchi e lacca. Per le parti più grossolane si utilizzano i gambi di equiseto secchi, immersi nell’acqua. L’equiseto è l’erba comunemente chiamata “coda cavallina”. Per lisciare ancor più finemente si utilizza il carbone vegetale, anch’esso bagnato.

La magia della doratura

Una volta che l’oggetto è incollato, stuccato, lisciato alla perfezione, si procede alla finitura del pezzo. Generalmente le lacche più utilizzate per la doratura sono la kuroroiro urushi e la bengara (letteralmente rosso scuro). La prima è nera e non è ottenuta con pigmenti, ma con una reazione chimica che avviene mischiando all’urushi idrossido di ferro. L’urushi bengara, invece, è rossa ed è ottenuta mischiando alla materia prima ocra rossa oppure ossido di ferro. La scelta di una o dell’altra avviene in base alla tonalità che si vuole dare al metallo, l’oro soprattutto tende a essere quasi trasparente, quindi con un fondo rosso sarà più caldo e con la roiro nera sarà più freddo. In poche parole è lo stesso principio che si usa nella doratura a guazzo delle cornici: a seconda della colorazione del bolo sottostante, il colore dell’oro prende sfumature diverse.
L’urushi è applicata e lasciata asciugare almeno una volta prima della doratura, ma anche più volte a seconda dello spessore della finitura che si vuole ottenere. In ogni passaggio bisogna filtrarla con carta koshigami. Nell’ultimo passaggio, quando sta per asciugare ma non è ancora asciutta, si procede alla doratura. Queste tempistiche purtroppo non sono misurabili, anche se la temperatura del muro è controllata, variano molto anche dal tempo che c’è fuori, dal tipo di urushi, da quanto tempo è aperto il tubetto…tutti fattori estremamente sensibili perché bisogna sempre ricordare che l’urushi è una linfa sempre viva.
Dopo almeno due settimane è possibile lucidare l’oro con carbone oppure con pietra d’agata, esattamente come si fa nella doratura a guazzo.

Per approfondire:

http://annacolibri.com/wp-content/uploads/2013/02/Flickwerk_The_Aesthetics_of_Mended_Japanese_Ceramics.pdf

https://www.youtube.com/watch?v=b4g4hm2UtBs

yobitsugi
Carrello
Back To Top