RESTAURARE CON L’ORO
KINTSUGI
Kintsugi è un’antica tecnica giapponese per il restauro della ceramica. Il suo nome deriva da “Kin” oro – “tsugi” ricongiunzione.
Secondo la leggenda più accreditata, ebbe origine nel XV secolo d.C., quando Ashikaga Yoshimasa, ottavo shogun di Ashikaga, dopo aver rotto la propria tazza di tè preferita, la inviò in Cina per farla aggiustare. Le riparazioni purtroppo avvenivano con legature metalliche poco estetiche e per niente funzionali. L’oggetto sembrava ormai perduto, ma il suo proprietario provò ad affidarlo ad alcuni artigiani giapponesi che, sorpresi dalla tenacia dello shogun nel riavere la sua amata tazza, decisero di provare a trasformarla in un gioiello riempiendo le crepe con resina laccata e polvere d’oro.

LA TECNICA DEL KINTSUGI

La lacca urushi è protagonista in ogni passaggio del kintsugi, essa è il principale “ingrediente” per riprodurre la vera tecnica del kintsugi. L’urushi è una resina che è estratta dalla pianta Rhus verniciflua, autoctona in Giappone, che si trova anche in Cina, Vietnam e Sud-Est asiatico, anche se la varietà più pregiata resta quella nipponica.
La lacca serve innanzitutto come collante per la ceramica, mischiata alla farina (nori urushi con amido di riso – mugi urushi con farina di grano).
Scorri le varie fasi
“Quando sta per asciugare, ma non è ancora asciutta”, come mi disse una piccola, anziana, signora nel primo negozio di Kyoto dove andai ad acquistare l’urushi, si procede a far cadere la polvere d’oro sulla lacca con la tecnica a spolvero.
Tra un passaggio e l’altro, perché la lacca polimerizzi, è necessario mantenere gli oggetti in una condizione chiamata “muro”, cioè un ambiente umido, letteralmente “in assenza di aria”.
In laboratorio abbiamo creato alcune armadiature rivestite con del legno, che sono mantenute umide. La condizione ideale per l’asciugatura dell’urushi è almeno a 22° e minimo il 75% di umidità relativa.
LACCATURA
LA TECNICA MAKI-E
Maki-e è un’antichissima tradizione di laccatura risalente al periodo Heian (794-1185). In realtà sembra che il termine sia un’evoluzione di makkinru, arte creata con una mistura di urushi e polvere d’oro.
Su uno sfondo, chiamato jimaki, che non ha aggiunta di alcun disegno, si tracciano immagini e pattern creati con colori, ma anche con polvere d’oro e d’argento.